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Channel: Commenti per Spigolature Salentine
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Commenti su Salento, 20 aprile 2012 di raffaellaverdesca

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Quante immagini meravigliose ci offre la Redazione!
Tale è la bellezza di questo scorcio di Salento del 20 aprile, che ogni commento sarebbe superfluo…ma non una scintilla d’immaginazione!
Questi alberi d’ulivo slanciati e tutti scolpiti nel medesimo e aggraziato movimento, mi sembrano splendide etoile su un palcoscenico fatto di piume odorose. Auguriamoci che questo spettacolo non finisca mai!


Commenti su “Il principio dei lavori virtuali” e altre tecniche di innamoramento scientifico di paolo

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condivido la (iniziale) idiosincrasia di raffaella per la matematica e, a proposito di canzoni, mi viene in mente un noto verso di Venditti in “Notte prima degli esami”: “la matematica non sarà mai il mio mestiere.. “

Commenti su Salento, 20 aprile 2012 di armandop

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Nel teatro umano può capitare che gli attori non siano all’altezza e che gli spettatori disertino giustamente lo spettacolo. Qui gli attori, nonostante la pluricentenaria carriera di molti di loro, saranno sempre all’altezza; sono gli spettatori che hanno da tempo manifestato devastanti segni di mancanza di sensibilità e d’intelligenza.
Mi spingo oltre: chi non prova nulla guardando questa foto è un essere pericoloso per sé e per gli altri; chi, peggio, in una stramaledetta dissolvenza incrociata, già vede tutto, con gli occhi invasi dalla libidine del lucro, rapacemente vandalizzato e fagocitato dall’asfalto e dal cemento, ha sprecato (anche se si reca in chiesa ogni giorno, anche se il potere è la droga di cui è abituale consumatore, anche se il suo nome rimarrà registrato da qualche parte) la meravigliosa possibilità, che a ciascuno di noi è concessa, di dare un significato al suo passaggio su questa Terra.

Commenti su Salento, 20 aprile 2012 di .salvatorecito

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Ieri era la giornata della terra…..la tuteleremo sempre di piu’?
Diamo una mano concreta tutti per lo sviluppo della nostra risorsa numero uno, la terra!

Commenti su “Il principio dei lavori virtuali” e altre tecniche di innamoramento scientifico di armandop

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Da pubblicazione, intendo dire anche a stampa. Ne consiglio la lettura a chi ancora crede nella separazione tra le due culture. Io penso, per quel che può valere, che le aberrazioni della scienza (ci includo anche gli errori, tra cui l’ultimo, esilarante, che pretendeva di sconfessare Einstein) siano (uso il congiuntivo per estrema prudenza…) dovute alla mancanza della componente umanistica (in rapporto al caso concreto appena citato: prima ancora del principio scientifico della ripetitività di un fenomeno risulta violato quello dell’umiltà, del dubbio, del buon senso) e che certi desolanti prodotti spacciati come arte (non solo una poesia, un quadro, una canzone, ma anche un saggio) siano il frutto dell’assenza di rigore scientifico. La specializzazione spinta dei nostri tempi (quando c’è…) ha propiziato un’ulteriore divaricazione che, secondo me, è, paradossalmente, l’anticamera dell’ignoranza più o meno totale, anche di certi valori che oggi di per sé contano poco o nulla.

Commenti su “Il principio dei lavori virtuali” e altre tecniche di innamoramento scientifico di Alfredo Romano

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Raffaella Verdesca ha sollevato col suo felice innamoramento per le scienze cosiddette applicate una questione non da poco. Ho scritto “cosiddette”, perché da che mondo e mondo la scienza è una sola, quella scaturita dagli uomini. Prendiamo gli scienziati del Rinascimento, Leonardo ad esempio: erano pittori, scultori, scrittori, poeti, musicisti, astronomi, architetti, ingegneri, matematici, ecc. Ma nel ‘700, con il progredire delle scienze appunto applicate, ecco affacciarsi la divaricazione tra esprit de geometrie ed esprit de finesse, intendendo da una parte le scienze applicate, dall’altra le scienze umanistiche. Questa divaricazione è durata fino ai nostri giorni finché non abbiamo capito che tutto è scienza, non solo le scienze applicate, ma anche quelle umanistiche.
Prendiamo il caso della costruzione di una cattedrale. Ecco, è possibile che, ponendo un mattone fuori posto, venga giù tutta la cattedrale. Altrettanto può accadere in un romanzo, giacché, un termine messo fuori posto, può far cadere tutto il romanzo. Chi l’ha detto che nella poesia o in un romanzo o in quadro non ci siano concordanze linguistiche, sonore, ritmiche, geometriche, matematiche e quant’altri? E tutto questo non è scienza?
Semmai, visto che tutto è scienza, beh, qualche discriminazione c’è. Prendiamo il caso di un mio amico letterato, linguista, glottologo, saggista, poeta… Succede che per farsi pubblicare un saggio ci rimette di tasca propria e così i figli e la moglie non fanno che rimproverargli di essere un letterato e non un ingegnere o architetto (sì, è proprio una grande pena per il mio amico). E già: litterae non dant panem. E così sia.

Commenti su “Il principio dei lavori virtuali” e altre tecniche di innamoramento scientifico di daniela cosentino

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“la matematica non sarà mai il mio mestiere…..” l’ho cantata anch’io e continuo a cantarla ,qualche volta … mi sono laureata in matematica e la insegno.
Ho avuto pero’ una fortuna, quella di aver frequentato il liceo classico, all’epoca come un ripiego,perchè nel mio paese non c’era lo scientifico,adesso come una grande opportunita’ che la vita mi ha dato.
non c’è nulla di slegato nei saperi.
Il sapere per me è unico. è la specializzazione spinta dei nostri tempi ad aver aumentato il divario. qualche anno fa ci sono stati matematici, pittori, filosofi, poeti, racchiusi in un’unica persona.
a volte è anche la scuola e in particolare il docente di una determinata disciplina a creare ed alimentare questo divario.
Ma vi posso assicurare che nei rari casi in cui si incontrano prof che sappiano trasmettere l’amore per il sapere e soprattutto a suscitare la curiosita’ nei giovani si materializza quella splendida immagine di due,tre,tanti liquidi che si miscelano fino a formarne uno nuovo i cui componenti iniziali non si riconoscono piu’.
è cosi’ che dovrebbe essere! qualche volta succede….
Daniela,prof di matematica (a cui è successo)

Commenti su “Il principio dei lavori virtuali” e altre tecniche di innamoramento scientifico di raffaellaverdesca

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Condivido i vostri pensieri e me ne orno con soddisfazione.


Commenti su “Il principio dei lavori virtuali” e altre tecniche di innamoramento scientifico di Enzo

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Suocere o chimici distillatori non riporteranno nulla alle condizioni
iniziali, si tratta di pratiche “violente”, brutali, con risultati che
approssimano ciò che e’ modificato per sempre.
Impossibile, anche chimicamente, restituire due acque di sorgenti diverse che si sono incontrate. Nessuna tecnica le riporterà alla originaria identità.
Le tracce infinitesimali che si portano dentro sono mescolate all’infinito

Commenti su I “Ciceroni” della Puglia uniti e a gran voce… di Daniela

Commenti su “Il principio dei lavori virtuali” e altre tecniche di innamoramento scientifico di Angelo Micello

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Lo studio e l’applicazione degli infiniti teoremi derivanti dal principio dei Lavori virtuali è la causa primaria della estirpazione di ogni forma di pensiero poetico nella mente di un ingegnere. Citarlo in un consesso di ingegneri sarebbe come citare le forbici in un harem di eunuchi, anche se il principio si presta a molte analogie con le economie sociali e anche sentimentali, come quella che vuole un equilibrio tra l’amore di un uomo verso una donna con il minore sforzo possibile applicato.

Commenti su Il Mangialibri/ Incipit di michele&martina

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Non c’è emozione più grande, credo, di quella che, scomposta in mille sfaccettature, dalle pagine del tuo libro ritorna a te, dopo essersi riflessa nel prisma dell’animo dei tuoi lettori. Grazie Raffaella del bel commento.

Commenti su Poesia/ Pulce sfuggita alla distruzione di Sodoma di franco cavallo

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densi di umanità e scritti a cuore aperto questi intensi versi della Prof.ssa Giulietta Livraghi Verdesca Zain. poetessa delicata e osservatrice finissima delle miserie e dei dolori umani della vita contadina del nostro salento, ci fa rivivere immagini non molto lontane che carezzano la fantasia e il cuore.

Commenti su Te ci si fiju (di chi sei figlio) di raffaellaverdesca

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E’ sorprendente scoprire pochi righi scritti con accuratezza e riferimenti essenziali capaci di dare un quadro della situazione ricchissimo e coinvolgente. Vincenzo Ampolo ne è l’autore e a lui rivolgo la mia sincera ammirazione.
Filippo e Letizia sono le due facce del racconto: agiatezza, passività e pigrizia sentimentale nell’uno, povertà, impegno e ingenua passionalità nell’altra.
C’è chi si immola in nome della patria e della libertà e c’è chi si immola in nome dell’amore: Letizia è un’eroina triste che non trova porte aperte per la sua intelligenza senza mezzi economici e origini rispettabili nè per il suo sentimento senza ricambio e responsabilità da parte dell’amato.
Filippo è invece il niente, ovvero colui a cui in paese chiedono addirittura di chi sia figlio, tanto la noia lo sbiadisce nei suoi contorni fisici; il ragazzo, unico rampollo di una famiglia ricca e potente, non è portato per lo studio, sostanzialmente non ha voglia di fare niente come se l’ambiente che l’ha generato e nutrito sia privo di sostanze. Eppure il giovanotto segue la strada già segnata dai suoi e passa dal liceo classico all’università.
A questo punto Filippo e Letizia, innamorati maleassortiti, si dividono: la ragazza, novella Giulietta, costretta per miseria a rinunciare alla sua realizzazione personale, rimane in paese vivendo nel ricordo del suo primo amore e consacrandolo a giorni di solitudine fino alla morte in un ospizio; l’amato, un ‘Romeo al contrario’, parte indifferente al vuoto lasciato nel cuore della fidanzata, e continua a lasciarsi vivere fino a farsi sposare e mantenere dalla moglie. Arriva la vecchiaia anche per lui, la tappa che non perdona, quella fase che se da una parte rapisce la mente al presente, dall’altra la sveglia riattivando il cuore al passato. Vincenzo Ampolo usa pochi tocchi magistrali per sciogliere l’insofferenza del lettore verso Filippo, fantasma di ciò che si direbbe un uomo, e d’un tratto lo innalza agli altari di un ‘Vixi’ che gli ridona colore, che gli rende l’onore perduto abbattendo l’anonimato del suo pigro scorrere nel mondo. Filippo, vecchio a passeggio sui suoi ricordi, associa infatti un fiore alla Primavera della sua vita, quella della sua giovinezza accanto a Letizia, forse l’unica bella stagione dei suoi anni, certo l’unico intervallo in cui il suo cuore ha battuto, figlio dell’amore, dandogli un motivo per credere di non essere vissuto invano. Struggente storia di esistenze per un finale emozionante di redenzione: Filippo è figlio dell’amore per Letizia.
Non tutti i finali lieti, però, sono parenti delle favole.

Commenti su Te ci si fiju (di chi sei figlio) di Vincenzo Ampolo

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Bellissimo commento di Raffaella Verdesca al mio racconto.
Riconoscente ringrazio.
Vincenzo


Commenti su Taranto, Il Miracolo e i lodevoli meriti di Edoardo Winspeare di Marco

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Commenti su Quinto Ennio, alter Homerus, tra Lecce e Roma di Pezza Petrosa e il fascino di una vexata quaestio: “Della patria di Quinto Ennio” « Spigolature Salentine

Commenti su Nasce a Cannole il “Museo dell’Arte Olearia e della Civiltà contadina” di Pier Paolo Tarsi

Commenti su Quando il Rohlfs inciampò in un sassolino del Salento… di Rino Duma

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Il gioco de “li tuddhri” proponeva diverse difficili prove. Superate quelle iniziali dell’”uno”, del “due”, del “tre”, del “quattro” e del “cinque” (i tuddhri erano lanciati in aria e poi ripresi), seguivano lu “thrabballante”, la “manu china”, lu “lassa e pija”, lu “portarone”, la “furceddhra”, l’”anellu” e un’altra prova finale molto difficile, chiamata “li punti”, che consisteva nel lanciare in aria tutti “li tuddhri”, per poi riprenderli con il dorso della mano. Era molto difficile che il giocatore li mantenesse tutti e cinque sul dorso, per cui qualcuno finiva per terra. I “tuddhri” rimanenti, cioè quelli mantenuti sul dorso, rappresentavano i punti finali da assegnare al giocatore. Colui che arrivava a superare le tante prove e realizzava cinque punti era considerato molto abile e bravo.
Rino Duma

Commenti su Quando il Rohlfs inciampò in un sassolino del Salento… di Marcello

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devo cercare qualcuno che mi ricordi le diverse fasi del gioco a Nardò, anche se per molti aspetti mi pare in comune con quanto hai evidenziato. Per esempio c’era “tutti a manu” (la manu china?) e “tutti a nterra”. “Nieddhu” mi pare seguisse al “cinque”. “Purtone” e “furceddha” corrispondono alla tua descrizione. Ricordo che l’avversario, forse per l’ultima prova, doveva “cumandare”, stabilendo quale fosse “papa” e “figghiu”, ovvero quale dovesse essere il primo e l’ultimo dei sassolini da far passare sotto la “furceddha”.
Qualcuno dovrebbe schiarirci le idee e colmare i dubbi. Un fatto è certo: trascorrevamo pomeriggi interi a gareggiare e l’unica preoccupazione era di trovare una soglia adatta su cui sedersi, senza subire i rimproveri della padrona di casa, e di scegliersi sassolini piccoli e con le adeguate esperità che ne impedivano lo scivolamento in alcune fasi del gioco.
Il sassolino, pur se irregolare nella forma, doveva però essere levigato, per consentirne lo scivolamento sul piano di gioco in “purtone” e “furceddha”. Grazie Rino per avercene ricordato, confidando nella bontà dei lettori nel ricostruire tutte le fasi

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