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Channel: Commenti per Spigolature Salentine
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Commenti su Non si mangiano ricci in giugno di gianni ferraris

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fin troppo evidente come la demenza senile incomba. pensavo (e confesso che conoscevo benissimo) Gozzano e scrivevo Fogazzaro … Mi scuso…. Ah. c’è Scipione…. sarà lui la causa? (e che diamine, una scusa dovrò pur trovarla)


Commenti su Giuggianello. San Giovanni, la rugiada, i fanciulli e le ninfe di paolo vincenti

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Anch’io caro Massimo, conosco questa storia e ne ho scritto qualche tempo fa. ti mando questo piccolo contributo a corollario del tuo interessante scritto.
Dal 24 al 26 giugno si festeggia, a Giuggianello, San Giovanni. Giuggianello è un piccolo comune, ad economia prevalentemente agricola, che dista circa 36 Kilometri dal capoluogo Lecce. La presenza di abitatori nella preistoria è avvalorata da alcuni reperti che sono stati ritrovati nei pressi della Madonna della Serra ( in una grotta, sono stati trovati scheletri umani e animali e vasi neolitici) e da alcuni menhir assai ben conservati. Secondo la tradizione, il toponimo Giuggianello ha origine dal fatto che, anticamente, questo luogo era circondato da un grande bosco di alberi di giuggiolo, che danno un caratteristico frutto, di colore rosso con polpa bianca, di sapore dolce e vinoso: la giuggiola, in dialetto “sciciula”. Anche nello stemma civico del paese, è raffigurato un grande albero di giuggiolo, mentre in un altro stemma, ancora più antico, che si trova sulla facciata della Chiesa Matrice, sono riportate due lettere “G” maiuscole. Un’altra versione dei fatti vuole che a fondare il paese sia stato il solito centurione romano, Giuggianus, che gli diede il proprio nome. Giacomo Arditi ritiene che il paese sia stato fondato dai profughi di Muro Leccese, in seguito alla distruzione della loro città, avvenuta, nel 924, ad opera dei Saraceni; dapprima la gente si ritirò sul Monte Maggio, poco distante, ma poi, per la mancanza d’acqua e per le molte serpi che vi si annidavano, discesero in pianura e fondarono il villaggio dove attualmente si trova. Incorporato, nel 1192, nel Contado di Lecce, dal normanno Tancredi, fu successivamente feudo dei Lubelli, dei Martino, dei Basurto, dei Guarini e infine dei Veris. Notevole importanza riveste la chiesa greca di San Giovanni, adiacente alla torre dell’orologio. Fin dal Medioevo, molto forte era, a Giuggianello, la devozione per San Giovanni, anticamente venerato nella piccola cripta, fondata dai monaci basiliani, fuori dall’abitato, nei pressi della masseria “Armino”. Nel corso dei secoli, però, il culto del Santo perse di valore e fu quasi del tutto dimenticato. Nel XIX secolo, un contadino, che abitava in quella masseria, aveva una figlia gravemente ammalata che rischiava di morire. Un giorno, alla fanciulla apparve San Giovanni, che le restituì la salute. Il padre, in seguito a questo avvenimento miracoloso, per riconoscenza, iniziò il restauro della cripta e riportò la cappella del Santo all’antico splendore. Venne così ripreso il culto di San Giovanni, fino alla seconda guerra mondiale. Nuovamente abbandonato, venne in seguito ripreso dal “Centro di Cultura Sociale e di Ricerche di Giuggianello”, nel 1990. Venne organizzata una grande festa sullo spiazzo della grotta, con balli e canti e la distribuzione, dopo la Messa, di pane , formaggio e vino, secondo l’antico rito greco del Medioevo. Così la festa si svolge ancora oggi e, in quello scenario suggestivo, fra querce e ulivi secolari, nella macchia mediterranea che fa da cornice alla cripta di San Giovanni, il 26 giugno, si svolge la funzione religiosa e, in serata, gli incontri “sull’aia”, con musica, canti e balli tradizionali. Nei tre giorni, poi, si svolge la “Sagra di San Giovanni”, con degustazione di piatti tipici salentini. Proprio come succedeva in passato quando, dopo la celebrazione della Messa, tutti gli abitanti del paese si recavano in processione in località Monte San Giovanni e qui davano vita a balli, musica e banchetti, per ringraziare il Santo per l’abbondanza del raccolto, anche oggi, in questa sagra, si respira una singolare aria di festa fra le prelibate pietanze della tradizione salentina.

Paolo Vincenti

Commenti su San Giovanni Battista nella tradizione popolare salentina di raffaellaverdesca

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‘Il Salento che fu’ reinterpretato da Giorgio Cretì per la notte di San Giovanni si carica di ancora più colori e ancora più fascino. C’è una molteplice gamma di profumi di campagna e di atmosfere notturne rischiarate dai fuochi, si riesce perfino a sentire il battito tumultuoso del cuore delle fanciulle innamorate appeso al filo di un responso casalingo.
Giorgio non dimentica neanche di trasmetterci la sacralità delle tradizioni affettive, laddove la figura del padrino o della madrina di Battesimo giganteggia nella vita quotidiana delle famiglie. Tutto questo in un tempo non lontanissimo, quando ancora si credeva in ideali farciti di bene e semplicità e le previsioni erano affidate a cardi e fave piuttosto che a oroscopi su rotocalchi rosa ed espedienti di fattucchiere. Che San Giovanni ci perdoni e che i sani ricordi ci assistano!

Commenti su Giuggianello. San Giovanni, la rugiada, i fanciulli e le ninfe di Massimo Negro

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Molte grazie Paolo. I tuoi contributi sono sempre molto interessanti e puntuali

Commenti su Non si mangiano ricci in giugno di armandop

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Incredibile! Pensavo che Scipione l’Africano fosse morto da tempo; e invece è venuto a farti visita. Gianni, salutamelo!…

Commenti su La notte di San Giovanni, notte di prodigi di raffaellaverdesca

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Un dramma raccontato con equilibrio narrativo e con poesia. Non è facile che uno scrittore riesca a immedesimarsi, frugare nell’animo dei protagonisti e poi osservare dall’esterno i fatti come cronista attento. Paolo Vincenti ci riesce con grazia e grande capacità comunicativa, fa ricorso, oltre che alle sue profonde conoscenze, all’humanitas, quella forza strana che nasce gemella dell’intelligenza e dello spirito e che poi, ahimè, in qualcuno regredisce fino a scomparire.
La società contadina ha dovuto combattere per secoli contro l’imponderabile e la fame, spesso vendere col sudore delle braccia il bene più prezioso e allo stesso tempo più inutilizzato, ovvero la reale comprensione del prossimo, l’accettazione dell’altro senza patteggiamenti, il rispetto della diversità. Per chi ha obiettivi a breve termine, sia quelli antichi della sopravvivenza, sia quelli ben più attuali del soggiogamento sociale e politico, tutto ciò che si frappone al loro raggiungimento diventa minaccia. Così, accanto alla straordinaria generosità tra le comari del paese e alla solidarietà comune nei momenti di lutto e di bisogno, (pulsioni non sempre disinteressate), Paolo svela la componente ancestrale della natura umana, la stessa che dalla notte dei tempi ha spinto l’uomo a cacciare, a combattere, a tradire, a riscattare e a condannare: la paura. Dice proprio bene l’autore, la paura è quel tanfo pestilenziale che aleggia spesso sulle nostre vite e che, o ci spinge a coltivare il coraggio e la nobiltà d’animo, o ci costringe a nasconderci dietro la codardia e l’invidia. Carmelina, personaggio magistralmente ritratto con delicatezza e colta semplicità dal nostro Vincenti, è una donna prostrata dal dolore, provata duramente dalla perdita degli affetti e dalla solitudine.
Lungi dal conoscere la storia degli ‘Untori’ manzoniani, della Maledetta caccia alle streghe e della Santa Inquisizione, la poveretta vive con la spontaneità di chi non può e non sa fare altro. Soffre le dicerie del paese Carmelina, quel paese che, pur sapendola tanto penalizzata dalla sorte, continua a lasciarla sola, la evita, fantastica con malignità sulla sua vita. Il dolore che tutto questo contorno sociale genera nella protagonista è un dolore dignitoso, nostalgico, toccante. La sfortunata orfana d’amore cerca comunque di colmare questo devastante vuoto esistenziale prendendosi cura dell’unica parente rimastale, la vecchia zia un po’ bisbetica ma pur sempre affezionata. Carmelina si lascia vivere e sacrifica la sua giovinezza a un tempo crudele che cavalca veloce sui giorni infischiandosene della sua esistenza in sordina, dei suoi sogni, quelli che permettono agli uomini di far visita alla felicità per pochi istanti. Dolores è il nuovo personaggio che irrompe a questo punto nella storia, drammatico e fugace ‘Deus ex machina’, E’ lei che diventerà la nuova e unica amica della nostra Carmelina, un’amica eccentrica, per lei stimolo attivo alla vita perchè capace di accenderle dentro il fuoco ormai spento della curiosità. Dolores è colta, ha studiato all’Università, Dolores coltiva idee appartenenti ad una razza mai vista dalla gente di quelle parti, Dolores è il nuovo, è il vento che spira contrario alla direzione della mandria. Carmelina trasforma l’amica in un nuovo punto di riferimento affettivo e contemporaneamente dimostra personalità talmente forte da non permettere alle idee rivoluzionarie della compagna d’intaccare le sue convinzioni di sempre,
Il popolo condanna fin da subito ‘la strega’, senza processo, senza pensare, certo di investiture divine nel solito delirio di giustizia e santità.
Ecco che durante la notte di San Giovanni, momento così poeticamente descritto prima dall’autore in tutto il suo magico mistero, si consuma l’orrore, quello del rogo del nuovo, del rispetto della vita, del valore dei sentimenti e della solidarietà umana.
Guccini avrebbe sicuramente sentenziato: “Dio è morto…”
E così sembrerebbe, se in noi non albergasse l’intelligenza, la comprensione della difficilissima equazione “Azione\Reazione”, o semplicemente la conoscenza del delicatissimo argomento del Libero Arbitrio.
Fatto sta che, mentre la casa di Dolores viene bruciata dalla folla inferocita, con la padrona intrappolata dentro in qualità di strega, Carmelina rimane impietrita dal terrore, dalla disperazione e dall’impotenza e ancora una volta da’ insospettabile dimostrazione di forza. Così come quella un tempo non si era arresa alla morte della sua famiglia nè convertita alle idee dell’amica Dolores, pur amandola, anche ora la donna si dissocia da reazioni comuni e scontate e sceglie la ribellione, la ribellione alla paura e all’ignoranza che guida i folli gesti del suo popolo, la ribellione al lasciarsi vivere in un mondo di solitudine e di crudeltà, dove scegliere la morte diventa il modo migliore per dare un senso all’aver vissuto…
Profonda gratitudine a Paolo Vincenti per averci donato questo gioiello di raro valore.

Commenti su Antiche preci del popolo salentino a San Giovanni Battista di raffaellaverdesca

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Meraviglioso rispolverare la nostra cultura, i nostri detti semplici, la preziosità che ci portiamo nel cuore da secoli come nuvole in un cielo senza tramonto.

Commenti su 24 giugno, festività di San Giovanni Battista. Il solstizio estivo e le erbe di San Giovanni di raffaellaverdesca

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Mi sento riconoscente nei confronti di Elvino Politi, Giorgio Cretì, Massimo Bruno, M. Vaglio, Paolo Vincenti, Marcello Gaballo e di tutti gli straordinari autori che hanno contribuito a far conoscere, scoprire, amare la festività di San Giovanni. Le informazioni danno sapere, le qualità degli scrittori comunicano emozioni impagabili. Spigolature Salentine, ancora una volta, unisce vere eccellenze: è questa la vera magia.


Commenti su 24 giugno, festività di San Giovanni Battista. Il solstizio estivo e le erbe di San Giovanni di Marcello

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l’unione fa la forza, cara Raffaella, e non è trascurabile la tua azione cementante ed esaltante.

Tra ieri e oggi abbiamo “spigolato” veramente su quanto possa dirsi sul santo così celebre in terra salentina.
Oddio… celebre per chi ama spigolare e si preoccupa che tali informazioni non vadano perse irrimediabilmente. Questo prezioso granaio che stiamo colmando giorno per giorno (torna sempre la metafora da noi felicemente adottata!) resterà a disposizione di tutti. E non è poco di questi tempi

Commenti su La notte di San Giovanni, notte di prodigi di paolo vincenti

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profonda gratitudine a te, cara raffaella, per avere analizzato cosi’ bene questa storia e questo personaggio femminile che, a pensarci bene, potrebbe rientrare a buon diritto fra i tuoi “volti di carta”.. si, questa storia avresti potuto scriverla tu, e dunque, la mia Carmelina, sarebbe potuta entrare a far parte di quella galleria di ritratti femminili del Salento che fu,da te delicatamente e poeticamente tratteggiati, nel tuo libro da poco pubblicato…

Commenti su Cazzamèndule, furmicalùru, saccufàe, irdulèddha, falaètta e ciciàrra: chi li ha visti? di mitilo del salento

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Piacevole inizio di giornata con questa proposta di argomenti così alternativi…belle le immagini, impegnativa la ricerca linguistica, commenti da condividere senza esitazioni. Bello e importante che si scelgano piccoli uccelli e i loro nomi per interrogarsi su cosa ne abbiamo fatto del mondo che ci circonda, del “paradiso”che ci fu affidato.Bene, io li ho visti tutti, credo, anche se non conoscevo i loro nomi, nè dialettali nè italiani.Ricordo ancora lo stupore quando vidi volare un rigogolo, e il gioco per memorizzarlo e farlo memorizzare ai miei alunni.E’ più recente la scoperta nei cieli salentini del gruccione, la meraviglia, gli appostamenti per poterlo fotografare, la ricerca in internet di foto da comparare con ciò che avevo visto…La cinciallegra infine, giunge sui rami del mio giardino e si fa sentire con il suo trillare per poi giocare a nascondino di ramo in ramo. I nomi dialettali?non ho ereditato questa cultura pur essendo salentina, devo dire che mi piacciono poco, preferisco i nomi italiani…mi complimento per il lavoro di ricerca svolto dall’autore. Ringrazio per la scelta di questi piccoli “amici”.

Commenti su Graeci sumus di armandop

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“Bastian contrario”, si sa, è usato per definire uno che contraddice per il solo gusto di farlo. Non aspiro a veder sostituito il primo elemento che ha subito aferesi (Sebastiano>Bastiano), poi troncamento (Bastiano>Bastiàn), infine passaggio da nome proprio a nome comune (Bastiàn>bastiàn) con un altro meno terremotato per via della solo apocope (Armando>Armàn>armàn).

Non voglio neppure passare per dissacratore inacidito, ma credo che accettare ad occhi chiusi qualsiasi affermazione come oro colato, anche se dovesse provenire dall’uomo più saggio della terra, sia ancora più pericoloso e fuorviante della stessa dissacrazione, anche se quest’uomo è il Galateo.

Qui, fra l’altro, vengono messe insieme due affermazioni del nostro autore come se avessero la stessa valenza, ad esaltazione incondizionata di due culture: la latina e la greca. In realtà nella prima il Galateo parla orgogliosamente di una sorta di marchio genetico, nella seconda delle “lettere”, cioè di uno dei più significativi aspetti di qualsiasi civiltà (pure io, però, con un’amarezza ancora più grande di quella che traspare dalle poche righe del conterraneo illustre umanista, dico che in ogni tempo il più significativo, purtroppo, è stato quello economico… ) e, mentre la prima proposizione, in latino, è una dichiarazione di compiacimento generica, la seconda (scritta anch’essa in latino, ma nel post riportata in traduzione che, in compenso, manca per la prima…) costituisce un drastico e disincantato ridimensionamento della precedente, laddove si sottolinea che le lettere devono fare i conti con ben altre realtà, tutte identificabili nel potere e nei suoi valori: “imprese militari, violenza, stragi, saccheggi”.

Forse il Galateo, se si fosse potuto liberare dalle incrostazioni del secolo precedente, avrebbe dato un’impronta più laica alla sua affermazione, lasciando da parte “sacerdoti”, “Sacra scrittura” e “teologia” che allora, come oggi, raramente coincidevano con dirittura morale e integrità di vita; d’altra parte, commettendo forse quell’errore in cui tutti incorriamo quando riteniamo senza riserve che il passato, moralmente parlando, sia stato superiore al presente (soprattutto quando sono coinvolti affetti, non voglio dire interessi, personali : “mio padre…mio nonno… i miei antenati”), lui stesso nella stessa opera, il De situ Japigiae, qualche pagina prima aveva scritto (traduco per non allungare il brodo): “Ci sono di esempio i prìncipi dei sacerdoti ai quali bastarono, finché erano poveri, le erbe e i pesciolini; ora né le terre né i mari sono in grado di soddisfare la libidine della loro gola”.

Conclusione: possiamo pure essere orgogliosi del nostro passato ma, nello sciacquarci la bocca rivendicando una presunta nostra astratta superiorità rispetto ad altre altrettanto rispettabili culture, anche loro con luci ed ombre, non dimentichiamo mai che non a caso dal latino “Caesar” (Cesare) derivano “Zar” e “Kaiser” e che parecchi secoli prima di Cesare pure la democraticissima Atene “aveva suicidato” (qui le virgolette hanno un’altra funzione…) Socrate reo di corrompere i giovani solo perché stimolava in loro la capacità di ragionare con la propria testa.

E non dimentichiamo pure che presso alcune popolazioni alle quali la nostra presunzione di civilizzati ha fatto appioppare l’etichetta di “cosiddette primitive”, coloro i quali sono solo sospettati di reati contro la collettività si autobandiscono dalla stessa; noi, invece, li candidiamo e li votiamo, oppure, se già eletti, riconosciamo legittima per loro l’immunità e li vediamo sempre come vergini, santi e martiri in balia del fumus persecutionis.

Ad ogni modo: le lettere, forse non ci salveranno, ma senza di loro nemmeno staremmo qui a pensarlo.

Commenti su La notte di San Giovanni, notte di prodigi di raffaellaverdesca

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Hai proprio ragione, amico mio, la tua Carmelina sarebbe entrata di diritto tra le pagine di ‘Volti di carta’ accanto alle sue sorelle di un tempo. Forse lì finalmente si sarebbe sentita meno sola. Ma è grazie a questa tua iniziativa e a questa tua splendida scrittura che Carmelina ha potuto essere accarezzata da nuovo amore e cullata da una nuova vita.

Commenti su Ecco come preparare da sè un delizioso nocino di giampaolo

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Interessanti e puntuali studi che arricchiscono la nostra conoscenza, grazie Massimo. Una persona anziana mi raccontava che per fare il nocino, faceva macerare le 22 noci aperte in 4 in un barattolo ermetico per 40 giorni senza alcol aprendo di tanto in tanto per far uscire i gas di fermentazione, al quarantesimo giorno aggiungeva l’alcol, ti risulta? saluti Giampaolo.

Commenti su Il guardiano dei tacchini di raffaellaverdesca

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Quanti strani mestieri nella vita di un uomo! Magari uno nasce e dopo pochi anni, se è così sfortunato da dover dividere spazi e tempo con un fratellino, gli tocca pure badargli! In questa storia si sente chiara la presenza di una famiglia semplice che divide i compiti tra i suoi componenti. Probabilmente una delle sue fonti di sostentamento è l’allevamento dei tacchini e tocca ai piccoli far loro da guardiani. Chissà, magari sarebbe stato meglio un fratellino!
Fatto sta che il bimbetto protagonista, grazie al prodigio di una penna che fa sempre centro, quella di Wilma Vedruccio, parola dopo parola, ci trasforma tutti in piccoli guardiani di tacchini: Ci impossessiamo infatti delle sue ansie, delle sue sensazioni, di quella visione del mondo spensierata e semplice che solo un bambino può possedere. E’ risaputo che gli animali corrono laddove c’è cibo ed è altrettanto risaputo che l’idea d’imbattersi in una punizione per non aver stroncato sul nascere questa insubordinazione rende più vigile e fragile chi ne è stato messo a controllo. Quando si dice ‘Il peso del Potere’. Non vi nascondo che qualche calcio all’indirizzo degli sgraziati e simpatici pennuti mi è virtualmente sfuggito in corso di lettura. Ma Wilma scoraggia da ogni avversione e ci insegna come l’intelletto possa dominare la paura attraverso l’osservazione, lo studio e la conoscenza dell’amico-nemico fino a darci il quadro di tutti, o quasi, i suoi imprevisti e stravaganti comportamenti. Così, fra gli sfarzosi paesaggi campestri diurni e notturni, il protagonista e i suoi fratelli acquistano sempre più sicurezza, imparano come fare a tenere a bada i tacchini e i propri timori tornando indietro a recuperare qualche certezza persa o correndo avanti a tirar sassi a quelle desiderose di fuggire.
Siamo un po’ tutti guardiani di noi stessi, un po’ tutti guide ed esempi per gli altri.


Commenti su Cronaca di una strana partita di raffaellaverdesca

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Ora ho capito ancora meglio il perchè della vittoria calcistica della nostra Nazionale! Gli Azzurri hanno vinto per te, caro Alessio, per te e per tutti quelli che hanno esposto il loro cuore alle intemperie del Caso, del sarcasmo degli indifferenti, dei riti scaramantici dei superstiziosi, dei nemici degli stadi e di quelli che dicono “Tanto perdiamo!” sperando che si verifichi il contrario. Intanto lo dicono, intanto ti fanno andare in bestia. Non sono una grande tifosa, diciamo pure che rispolvero un innato senso di patriottismo sportivo in occasione delle Olimpiadi e dei mondiali di calcio, ma rispetto la passione altrui e amo sconfinatamente l’Italia Vera, l’Italia dei bravi ragazzi che devono rinunciare a tutto, non ultimo a una partita importante, per tornare in una città lontana a studiare o a lavorare, l’Italia della brava gente, che è comunque tanta, l’Italia che non si arrende, che si difende, che si ribella, l’Italia che vince senza vendersi le partite di calcio, i demani, le opere d’arte, le aziende, il suo stesso popolo. Amo la Patria e amo perfino quelli che riescono a convogliare questo nobile sentimento nei 90 minuti di una partita di pallone coi suoi supplementari e i suoi rigori, e avanzo in più la speranza che estendano questa loro passione anche al dopo partita. Lasciamoli perdere i corvi che gracchiano e i gufi che ‘gufano’, Alessio, e beviamoci tutto d’un sorso la simpatia e l’ironia di un bravo scrittore e di un allegro ragazzo ripagato domenica scorsa del suo estremo sacrificio: tu!

Commenti su I salentini a Civita Castellana / Ritorno alla Tenuta Terrano: le foto di ieri e di oggi. di raffaellaverdesca

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Mi complimento per l’eccezionale perizia di Alfredo nell’impostare graficamente pagine e immagini al pari delle riviste culturali e dei volumi scientifici più pregiati.
Perchè ci vuole capacità per far rivivere anche al lettore più distratto il proprio viaggio. Alfredo aiuta la nostra immaginazione prestandoci la sua, quella supportata da vecchie fotografie scaltre, quasi consapevoli della funzione che in futuro avrebbero avuto: materializzare la memoria.
Quella di Romano non è una memoria qualsiasi, ma una memoria storica al pari di quella che nuota fra le pagine dei testi storici ufficiali. La mia mente vola d’istinto alle splendide e tristi immagini dell’emigrazione del popolo italiano verso l’America, alle vicende drammatiche degli Italiani in Crimea, dei deportati di ogni tempo, e si perde nei reportage fotografici dei casermoni di Aushwitz. Già, quei fabbricati austeri, quelle casupole documentate tra il 1968- ’75 e oggi da Alfredo mi iniettano una sensazione di solitudine, di abbandono, di confinamento. Certo, a Civita Castellana non c’era prigionia se non nel cuore, nè vessazioni crudeli se non nella diffidenza e nel disprezzo della gente del posto verso gli intrusi salentini o nello sfruttamento da parte dei proprietari terrieri di questa mano d’opera bisognosa e disperata. Ma c’era dolore e lo si legge a chiare lettere nelle parole e nei ricordi dell’autore, in quelle emozioni struggenti, nel rimpianto della vita di allora, vita semplice, ma solo attraverso gli occhi dell’adolescente Alfredo e non dell’uomo. L’uomo, infatti, rimpiange i tempi della famiglia unita, degli affetti più cari ancora in vita ad attendere il suo ritorno sulla strada bianca o a svegliarlo all’alba per anticipare i compaesani nella raccolta del tabacco, ma non può accettare l’ingiustizia di una vita da reclusi nè di una madre malata di nostalgia. L’uomo Alfredo sente la mancanza della spensieratezza dei suoi diciott’anni, quando ogni sacrificio non conosceva strade traverse o scorciatoie e quando la famiglia e il suo benessere occupavano ogni settimana di tutti quegli otto anni il primo posto in classifica. L’amore vince sempre, cambia sempre, cresce sempre.
Alfredo Romano dimostra con la propria vita e il proprio passato che l’amore è l’unica motivazione valida per accettare rinunce, pesi e sofferenze, per trovare il bello anche nel brutto e l’accettabile perfino nell’impossibile. Quando oggi il nostro scrittore si volta indietro a lanciare l’ultimo sguardo lucido a Terrano e al suo passato, infinita è la dolcezza che lascia e si riprende da quelle coccole materne rimaste a vagare fra le pietre del casolare antico, dalle immagini rassicuranti dei suoi cari, presenze poste da Dio a segnargli la via che l’ha portato a noi oggi e a se stesso in ogni attimo della sua vita.
Credo fermamente che la testimonianza di Alfredo Romano, come quella di tutti coloro che hanno messo a disposizione di tutti i ricordi e le esperienze vissute, possa essere annoverata come Patrimonio dell’Umanità e fiore all’occhiello della cultura salentina perchè non esiste pietra o mattone che non racconti una storia nè vita che non lasci un insegnamento.
Quanto sarebbe bello e giusto osservare, a questo punto, un minuto di silenzio per i nostri predecessori coraggiosi! Facciamolo per onorare i Romano e tutte le famiglie di nostri conterranei e connazionali che hanno sbancato montagne per lasciare a noi una strada più larga e un cammino più facile. Facciamo in modo che non sia stato un sacrificio inutile!

Commenti su Cazzamèndule, furmicalùru, saccufàe, irdulèddha, falaètta e ciciàrra: chi li ha visti? di giuseppe cesari

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il salento è una terra straordinaria che per la sua collocazione geografica si colloca in mezzo al mare mediterraneo e diventa il posto in cui molte, moltissime specie di uccelli si fermano, dove trovano un abitat accogliente, per rifocillarsi, rinfrescarsi e ripartire nelle loro lunghe e affascinanti migrazioni… se le condizioni atmosferiche sono adatte in alcuni giorni dell’anno è davvero possibile vedere specie rarissime che si fermano anche solo per poche ore… il mondo degli uccelli è un mondo fantastico e per molti aspetti ancora misterioso, si pensi che la gran parte delle migrazioni avviene di notte… purtroppo il nostro territorio diventa ogni giorno meno ospitale e questo provoca enormi problemi a tante specie di piccoli e grandi migratori… l’unica cosa che contesto all’articolo è che secondo me è stato scritto con spirito di populismo anticaccia…

Commenti su Il guardiano dei tacchini di wilma vedruccio

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Squisiti i commenti di Raffaella Verdesca!
mi fanno vedere cose a cui non avevo pensato scrivendo e mi incoraggiano a nuova scrittura per la quale non è data certezza alcuna…

Commenti su Cazzamèndule, furmicalùru, saccufàe, irdulèddha, falaètta e ciciàrra: chi li ha visti? di armandop

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“Terra straordinaria”, “(h)abitat accogliente”, “diventa ogni giorno meno ospitale”, “enormi problemi”: tutto questo non è in contraddizione con l’accusa mossami di “populismo anticaccia”? Poi, ammesso che così fosse, meglio questo che l’”aristocraticismo venatorio”. Infine, se l’”unica contestazione” è dovuta, come credo, al mio “cerebroleso” del post, ne confermo pure le virgole; comunque, la neurofisiologia moderna sta dimostrando che anche neuroni apparentemente morti possono, sia pur raramente, “risvegliarsi”…

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