E’ una bella storia, Giorgio, trattata e realizzata con la varietà dei toni di un affresco. Il mare cattura lo sguardo e anche il timore. Me ne accorgo ogni volta che mi perdo a contemplarlo da dentro le sue acque e da sopra gli scogli. Amico e nemico, per niente servile e prevedibile.Tutto sta nell’imparare a conoscerlo e non solo con carte nautiche, immersioni e studio di venti e correnti, ma soprattutto col rispetto. Le barche questo lo sanno, perfino quei mostri d’acciaio imponenti e meravigliosi detti ‘navi’. Vederne i relitti in fondo agli abissi mi provoca angoscia. Per fortuna, in questo caso non morì nessuno dell’equipaggio e dei passeggeri del Trovancore, ma penso al loro terrore al momento di affondare, ripenso alla paura pungente di tutti quegli occhi che hanno avuto come ultima immagine questa distesa infinita di acqua solenne e spietata. Naufraghi e naufragati. Sarebbe bello, ogni tanto, raccogliersi in meditazione dinanzi a tutti quei volti stranieri e silenziosi che sono stati inghiottiti dal mare e non sempre per tragica fatalità, ma per quell’intima cattiveria umana che fa più paura di uno tsunàmi.
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