Ebbene, Luigi, ti debbo smentire, poiché il Museo Civico di Paleontologia e Paletnologia possiede i calchi dei tre denti decidui di Grotta del Cavallo, dismessi dall’esposizione attuale da Elettra Ingravallo (che curava la sezione paleolitica del nuovo allestimento, per motivi di spazio e per assenza nel Museo di materiali uluzziani), ma esposti fino al 1999 nella vecchia sede, quando ormai da tempo dei reperti originali si era persa ogni traccia.
D’altro canto dire “Homo sapiens” non escluderebbe il neandertal che appunto è Homo sapiens neandertalensis, anche se oggi si preferisce parlare di Homo neandertalensis e nei più accreditati studi recenti il termine “sapiens” viene usato solo per indicare la linea dei sapiens sapiens, cioè della nostra specie, così come fa anche il ricercatore viennese, laddove non si può entrare nel merito di forme arcaiche o meno.
Del pacco di deposito uluzziano di Grotta del Cavallo (quasi 1 metro di spessore) si ha da tempo una sola datazione a 31.000 anni da oggi e si riferisce all’orizzonte medio del deposito: uluzziano evoluto) mentre non sappiamo nulla sulla reale giacitura dei reperti dentari rispetto ai tre livelli uluzziani individuati: uluzziano arcaico, evoluto e finale.
Certo è che Palma de Cesnola (1966, “Il Paleolitico superiore arcaico (facies uluzziana) della grotta del Cavallo (Lecce)”, in Riv. Scienze Preistoriche, XX, 1, e XXI,1) già negli anni sessanta definiva questi orizzonti appartenenti alla fase più antica del Paleolitico Superiore pugliese, parallelizzabile al protoaurignaziano francese (precedente a 41.000 anni), ravvisandone già i caratteri tipologici originali rispetto al deposito sottostante appartenente al musteriano denticolato di cui era autore il Neandertal.
L’attribuzione al Sapiens sapiens dei due denti non smuove, tuttavia, di un millimetro la tesi che l’industria uluzziana possa essere frutto di un’acculturazione dovuta a rapporti tra le due specie (il neandertal ormai in via di estinzione il sapiens appena sbarcato in Europa).
Si tratterebbe, infatti, del più antico reperto osteologico del sapiens finora ritrovato in Europa (quelli finora posseduti non superavano i 33.000 anni), non della prima testimonianza della sua presenza, di cui le prove tra i 43-41.000 anni sono ormai ben datate (Grotta del Bacho Kiro, Bulgaria).
In pratica e sintetizzando lo sappiamo da tempo che il Sapiens Sapiens è giunto in Europa tra i 45- 40.000 anni e che l’industria uluzziana si riferisce a questi suoi primissimi momenti.
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Commenti su Quei due denti ritrovati a Portoselvaggio (Nardò) sono i resti di uomo moderno più antichi d’Europa di Museo Civico Maglie
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