Leggo questa lettera e mi sembra il sunto di due vite in una sola. Chi ha vissuto il ’68 a casa mia conferma ogni umore, ogni speranza e delusione qui descritta. Gli ideali sono i fertilizzanti della mente, la fanno esplodere in avanguardie coraggiose e resistenze eroiche. Con quest’ultima definizione ‘da trincea’, mi riferisco naturalmente a tutti coloro che, come i nostri protagonisti, hanno subito la dolorosa mortificazione di vedere ogni loro sforzo e fede sprofondare nell’immobilismo sociale, soprattutto nel Sud Italia, e dileguarsi nella restaurazione di vecchi principi saprofiti che prevedono il forte sovrastare il debole e il comodo polverizzare l’utile. In questa chiave di lettura, questo documento epistolare ci parrebbe una coinvolgente testimonianza dell’evoluzione politica e sociale, meridionale e nazionale, attraverso due generazioni sperimentate da Ezio e Sergio, usciti malconci, e la proiezione verso una terza generazione, promettente e carica di speranza. Il tutto finirebbe qui, dicevamo, se non ci fosse il dramma umano di chi, in quella battaglia, ci ha rimesso la pelle. No, signori miei, morire non è sempre finire sotto metri di terra in camposanto, ma è a volte perdere l’anima, la mente, la speranza. Sergio, alla ricerca delle sue origini per contrastare la vertigine dell’ingiustizia presente, le trova seppellite da coltri di ricordi terrificanti. L’orfanotrofio diventa, in piccolo, la ricostruzione della politica sociale di ogni tempo: i più deboli propaganda, i più forti e belli, predatori e prede. E’ al momento degli abusi dei padri educatori che la mente di Sergio subisce i primi assalti mortali trasmettendoli di rimando anche alla vita del cugino Ezio, ignaro. Quest’ultimo, infatti, dopo anni di attese, di lotte e ancora di attese, si ritroverà solo, costretto a non poter più camminare fianco a fianco col suo amato compagno di viaggio, ma a scrivergli lettere in un istituto per disabili mentali. Ezio e Sergio accomunati da una sconfitta, dalla solitudine, dall’amarezza, uno ancora in campo, l’altro a difendersi con la resa. La testimonianza delle sorelle Chiara ed Emanuela Tenuzzo, accorte e gentili scopritrici della realtà di Sergio, eccentrica per cultura, drammatica per sorte, conferisce a questa pubblicazione ancor più passione e voglia di condivisione. Se solo quel padre educatore avesse impostato la sua miserabile vita sul versetto del Vangelo più illuminante per lui, forse non avrebbe avuto molte scusanti per evitarsi la retta via:
“Ma se uno sarà di sacandalo a uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli sia legata al collo una mola asinaria e sia precipitato nel fondo del mare.” (Matteo 18, 6)
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