“…Una cosa avrei rimproverato volentieri a mio padre, non tanto l’averci portati via dal paese natale, quanto l’averci destinati per tutta la vita in un luogo lontano dal mare: emigranti sì, ma almeno… il mare dappresso! Quando d’estate, in Salento, finite le vacanze, fuoriesco da quel nostro mare verdazzurro fresco e profumato degli scogli e mi volto a guardarlo per l’ultima volta, ecco io… piango, sì, piango sempre!”
Da “Piccoli seminaristi crescono”.
Cara Raffaella, con la tua “Fuga da Alcatraz”, hai rappresentato quella “nostàlghia” (per dirla alla russa) di tutti coloro che sono andati via dalla nostra terra per varie ragioni e che sempre hanno avuto in mente di tornare alla loro Itaca, magari per una frisa soltanto bagnata nell’acqua di mare con sopra un pomodoro colto all’alba, quattro ulive nere mature, un mazzetto di rucola spontanea di ineguagliabile sapore colta presso un muretto a secco e, dulcis in fundo, quell’olio fresco te trappitu che raccoglie l’essenza stessa del nostro desinare, del nostro vivere.
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