Sorvolando sul “piuttosto”, ripreso al volo da Pier Paolo, di Fabio che sembra glissare sulle puntuali citazioni documentarie richieste (senza di loro non si va da nessuna parte), nell’attesa, rispondo ad entrambi.
Non vorrei che gli autori citati si limitassero, come il Rohlfs, solo ad una descrizione del fenomeno e non alla ricerca delle sue motivazioni strutturali.
Credo, comunque, che la giustificazione della presenza del raddoppiamento in “me sta ffazzu” da una parte e della sua assenza in “sta mme fazzu”, “staci me fazzu” e “aci me fazzu” dall’altra non sia di natura semantica ma fonetica. Tenendo presenti le forme staci/aci che lo stesso Rohlfs riporta al greco steko=stare fermo, il raddoppiamento potrebbe essere per compenso della caduta di -ci in “me sta ffazzu (da “staci me fazzu”), come sembrano confermare pure “sta mme fazzu” (dove per la diversa posizione dell’originario staci il raddoppiamento ha riguardato la m di me) e “staci me fazzu” e “aci me fazzu” (in cui non c’è raddoppiamento né di m- né di f- perché non è caduto niente).
E tutto ciò non contrasta minimamente con le due ipotesi interpretative da me prospettate, alle quali, anzi, aggiungo una terza: una congiunzione, sempre la stessa, sempre sottintesa, ma questa volta di valore consecutivo: sta ffazzu=(la situazione) sta (in modo tale che) io faccio.