A qualcuno potrà sembrare scontato preferire il bello al brutto, a qualcun altro impossibile da attuare. Il problema generico di fondo sarebbe una questione di gusto, se è vero che non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace. E qui s’inserisce la competenza brillante di Oreste: fermo restando il rispetto per i diversi indici di gradimento delle cose, Oreste traccia davanti ai nostri occhi schizzi di paesaggi multicolori, campagne, recinzioni e antichi casolari. Oltre alla meraviglia dinanzi alla bellezza di queste tavole virtuali, l’autore ci rivolge un invito quasi filosofico alla salvaguardia e alla conservazione di detta bellezza, affinchè mai venga cancellata da un’amorfa ondata architettonica di cemento e d’avanguardie, ma piuttosto garantita dal restauro e dal proseguimento dello stile costruttivo tradizionale, sempre armonico con la cultura e la storia dei luoghi. I muretti a secco e le case in pietra viva ci fanno pensare a pezzi di roccia partoriti dalla fatica e dall’entusiasmo del popolo, messi lì, uno sull’altro, a rispettare geometrie di vecchi sogni realizzati: la casa e la proprietà, ricchezze ostentate con l’orgoglio di chi quelle pietre se l’è sudate sradicandole dal terreno e incorniciando poi la propria vita come tela d’autore.
Accogliamo allora questo saggio invito di Oreste e riscopriamo in noi la vena artistica del pittore e la virtù dell’estimatore, chè ogni lembo della nostra terra diventi quell’opera d’arte capace di passare indenne attraverdso l’onta del tempo e dell’ignoranza!
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