Non credo, poiché -x- intervocalica ha dato anche in italiano esiti in -sc- palatale (laxare>lasciare, lixiva>lisciva, coxa>coscia) e non in -sc- velare, mentre il salentino risponde con -ss- (lassare, lessìa, cossa). Da ex estrattivo+ùngulu dovremmo pensare a una neoformazione [giacché parliamo di una forma che ha già subito la lenizione di v-], che però avrebbe dovuto sortire in un *ssungulare [come ex+ àcenu 'acino'> ssacenare]. Forse davanti a vocale velare è stata posta una c di origine ignota? Mah! Tuttavia, il salent. scancare ‘divaricare le gambe’, se è derivato di anca ‘gamba’, lo sosterrebbe.
Per quanto riguarda la vicinanza al napoletano vòngola, aggiungo che sono convinto dell’esistenza di un nesso semantico tra il senso di ‘guscio’ e quello di ‘baccello’: il griko luìdi ‘baccello di fava’ è da un greco lobìdion (così il Rohlfs), il quale è dimin. di lòbos che nel greco classico aveva anche il significato di ‘guscio’. Poiché tra il romanzo salentino e il griko esistono connessioni semantiche più intense e intrinseche di quanto si creda, propendo per la derivazione da una voce molto vicina all’etimo del nap. vòngola (da lat. conchula, dim. di concha ‘(guscio di) conchiglia’).