Carmelo, a soli otto anni, è uno che sa cosa vuol dire avere un sogno; aspettando che quello si avveri, sa anche come fare a passare il tempo, sconfiggere la noia, giocare in gruppo o crearsi piccoli interessi solitari in bizzarre postazioni ottime per catturare lucertole e osservare formiche.
Lucio, da scrittore abile e introspettivo, sa cosa vuol dire mantenere le promesse fatte ai figli della sua penna, perciò incastona personaggi ben intagliati e situazioni divertenti in descrizioni ambientali realistiche come le sculture di Fidia. Alle spalle della narrazione scorre l’eco di un’epoca storica pur racchiusa nello stretto imbuto di un paesino del Sud, posto comune a molti altri se Lucio non lo impreziosisse di illuminanti macchie di colore artistico: i contadini tra le stoppie in piena canicola estiva, l’asinello carico di paglia simile al bimbetto della banda musicale carico del suo tamburo, la leggerezza dei fuochi d’artificio brillanti, il festoso profumo delle bancarelle piene di giochi e dolciumi e la pesantezza della processione affaticata dei contadini a fine giornata nei campi. Ed ecco allora irrompere tra tutte queste bellissime immagini un suono, quello squillante del ‘sogno’. Il lettore si lascia quindi investire con emozione dal rintocco delle campane della chiesa di San Biagio, desiderio struggente del piccolo Carmelo, a lui ripetutamente proibito per limiti d’età da don Fabiano, azzeccata controfigura del ben più famoso don Abbondio manzoniano. Don Fabiano vede senza farsi vedere, sente ogni resoconto dei fatti del paese senza ascoltarli dalla fonte se non in confessione o attraverso il fedele sacrestano. Le campane di San Biagio suonano allora sulla ingenuità di Carmelo e sull’astuzia macchinosa di un ignavo pedante, l’arciprete, uomo capace di fare delle funzioni religiose un meschino affare da merciaiolo: tante lire per un tot di ‘prestazioni’ religiose pseudo-pietose o gioiose, a seconda che si tratti di funerali o di sacramenti ‘gaudiosi’.
Tutto ha un prezzo.
Splendido questo contrasto tra il sogno leggero di Carmelo difeso dalle autorevoli vibrazioni di una campana e la vita cupa e pesante di don Fabiano mascherata da una tunica nera proprio come il drappo con cui questo ha la decenza di coprire il registro dei conti da esigere dai fedeli.
E mentre esultiamo tutti per la realizzazione del sogno del piccolo protagonista, lì issato sul campanile a suonare a festa e ad oltranza le campane durante un modesto rito funebre, come infanzia vuole, ci auguriamo che davvero il povero defunto in questione si sia fatta l’ultima risata sulla gioia della gioventù, l’insensatezza del dolore e la vera miseria della umana natura: la viltà.
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