Purtroppo arrivo in ritardo alle discussioni! L’intervento del sig. Armando è interessante dal punto di vista filologico, ma a mio modesto avviso lo è meno in quello etimologico. In italiano, i sostantivi estratti dai verbi mostrano un suffisso dimin. che rimanda alla desinenza verbale: es. cucirino ‘filo di cotone per cucire e ricamare’, filarino ‘attrezzo per filare il cotone grezzo’, ecc. Nel caso del salent. (a)cuceddha [derivato addirittura dall'ital. cucire] dobbiamo supporre un prestito antico dall’italiano (nonostante il nostro cùsere e cusìre) al quale si aggiunge un dimin. in -ella a dir poco strano se il nome derivato si riferisce ad un oggetto più grande del nome originario. Ma (?!?!?) la lingua italiana (e con essa i dialetti italiani) abbonda di esempi di simili derivati, e non tutti sono registrati nei dizionari classici poiché fanno parte di quel lessico ‘volgare’ del latino medioevale che ha prodotto AUCELLU dimin. di AVIS, ACUCULA dimin. di ACUS, ecc. e (perché no?) ACUCELLA, che hanno dato ad es. le forme venete osèlo ‘uccello’, gùcia ‘ago’ e gusèla ‘ago’.
Quanto alla variante salent. cusceddha (con -sc-) credo che essa dipenda dalla percezione fonetica del Rohlfs nel momento della registrazione: nel suo VDS (ma anche in tanti autori di testi in dialetto salentino) vi sono tracce non sempre coerenti nella trascrizione fonetica dei lemmi, per cui accanto a frascera, fasciddha, frìscere, fùscere si registrano anche fracera, fraciddha, frìcere, fùcere; e sappiamo che alcuni parlari salent. pronunciano -c- intervocalica in modo ‘biascicato, quasi -sc-’, come si sta diffondendo sempre più nell’italiano regionale del Centro-Meridione.
Grazie dell’attenzione.
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