a conforto di quanto accennato nel precedente commento, riporto quanto ho scritto nella mia prefazione al libro “Nardò Sacra”:
“… Già alla fine del Medioevo si era registrato in città un incremento edilizio, stimolato dalle costruzioni dei nuovi ordini mendicanti dei Francescani e dei Domenicani che, a differenza dei Benedettini, preferirono scegliere le loro dimore nel centro abitato anzichè in abbazie sparse nella campagna.
Il numero di chiese ubicate intra moenia civitatis, che ho voluto considerare come termometro dell’ evoluzione della stessa, già è cospicuo nel XV secolo: lo provano le visite pastorali di Mons. Ludovico De Pennis del 1452 e di Mons. Gabriele Setario del 1500, i quali ne visitano, rispettivamente, 28 e 51 (quest’ ultimo numero, da attribuirsi, probabilmente, al rinnovamento urbanistico della città voluto dal duca Belisario Acquaviva d’ Aragona).
Emerge chiaramente da recenti studi, ancora meritevoli di approfondimento, che è il periodo compreso tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo quello di maggior sviluppo.
E’ il rinascimento cittadino, in parte stimolato dallo zelo dei diversi vescovi napoletani, ma forse anche dai grandi Giubilei del 1575 e 1600, che faceva contare ben 55 chiese nella visita di Mons. Bovio del 1581 e addirittura 69 in quella di Mons. Luigi De Franchis del 1612. C’ è lavoro per tutti e, fra i tanti mastri ed experti fabricatores impegnati, spiccano figure come quelle del Tarantino, degli Spalletta, Sansone, Pugliese, Dello Verde o ancora dei Maurico, che lavorano in città e in tutta la Terra d’ Otranto.
Ricchi e poveri, nobiltà e popolo, semplici sacerdoti ed alti prelati, tra cui molti vescovi aristocratici, concorrono congiuntamente, col proprio zelo e con le offerte dei devoti, ad incrementare il patrimonio architettonico ed artistico di Nardò.
Non poco impulso a questa rinascita danno i primi Acquaviva d’ Aragona, e primo fra tutti il citato Belisario, che probabilmente intendono trasferire nel proprio ducato quanto già avviene a Napoli ed in tutto il Regno. Si circondano essi di nobili cortigiani e di facoltosi facciendieri che a Nardò scelgono la propria dimora, supportando l’ emergente ceto sociale, la borghesia, che con le sue attività produttive e mercantili contribuisce a trasformare la città da centro quasi esclusivamente agricolo a luogo di scambi e di consumi.
Sono i duchi a rilanciare l’ amore per le lettere, a fondare accademie, ad ingrandire chiese, e costruiscono il castello e diversi conventi: quando non bastano gli artisti locali, non di rado importano maestranze forestiere, con nuovi modelli e stili che poi, spesso, ispireranno gli artisti locali per la creazione di quanto, solo in minima parte, possiamo ancora ammirare.
La nuova nobiltà invece, proveniente da tutto il Regno di Napoli, gareggia nel suo ambito per comunicare la propria potenza economica, sociale e politica: sorgono sontuosi edifici e case palazziate, individuali e collettive, ricche masserie ed artistiche cappelle, sui quali di frequente spicca, quale signum proprietatis, lo stemma di famiglia.
Sul finire del secolo XVI gran parte degli atti notarili, oltre le frequenti compravendite di suoli e abitazioni, registra numerosi appalti per la costruzione di opere pubbliche e religiose.
Si realizza il nuovo palazzo di città, si ampliano i monasteri di S. Domenico e di S. Francesco, si realizzano ex novo quelli dell’ Incoronata, di S. Maria di Costantinopoli, dei Cappuccini e del Carmine con le rispettive chiese. Si ingrandiscono le cappelle della Carità, di S. Maria del Ponte, di San Giuseppe, di S. Maria della Rosa e di tante altre minori. Il tutto, frequentemente, su disegno e progetto delle anzidette maestranze locali, che modellano abilmente la tenera pietra leccese, come già stava avvenendo in tutta la terra d’ Otranto…”