La pratica della medicalizzazione ha invaso purtroppo anche le istituzioni scolastiche ed educative con risultati, a volte, drammatici. Le pratiche dell’handicap e diagnostiche, hanno trovato infatti, dopo la Legge sull’integrazione, via libera in tutto l’ambito pedagogico-educativo facendo di un problema evolutivo e del disadattamento sociale, una occasione di diagnosi “sempiterne” come etichette appiccicate e mai più tolte fino ad accompagnare il malcapitato studente fino al diploma e oltre, con tanto di esperti-professionisti al seguito. Intorno alle diagnosi (a volte imposte per risolvere problemi di incompetenza didattico-educativa-organizzativa degli insegnanti e della scuola) e alla medicalizzazione anche dei processi di apprendimento e delle problematiche comportamentali, si è costruito un sistema difficile da smantellare. Un sistema che ha visto l’ambito medico-sanitario invadere anche il campo educativo creando, più che sviluppo e autonomia, dipendenza e abusi. In sintesi, da un processo di necessaria sensibilizzazione, accettazione e accoglienza della diversità, siamo passati ad una visione medicalizzata generalizzata che ci ha fatto considerare patologia anche ciò che non è. Oggi siamo bombardati da un linguaggio che richiama costantemente una terminologia medico-sanitaria con prevalenza di termini che evocano la condizione di malattia o di disagio psico-fisico di varia natura, una “malattia sociale” che non ha risparmiato nemmeno la vita politica e il linguaggio dei politici che si limitano a fare “diagnosi” a destra e a manca senza governare.
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