Ringrazio Pier Paolo Tarsi per l’apprezzamento, anche se il mio intervento era soltanto lo sfogo spontaneo di chi non ce la fa più a trovare suonatori di pizzica in ogni ristorante, trattoria o chiosco di panini. Continuo a non capire perchè si voglia per forza dare una veste “autorevolmente culturale” a quello che si potrebbe tranquillamente inquadrare in un “fenomeno di costume” con buona pace di tutti. La “pizzica-pizzica”, variante della “tarantella”, è una musica fatta di quattro accordi e un inciso, quando va bene due, credo che ogni musicista davanti alla propettiva di essere pagato per suonare davanti a centomila persone, ci metterebbe l’anima per ricamarci sopra, del resto il “barocco” (stile che odio visceralmente) insegna. Non ho la benchè minima autorità per discutere oltre, ma permettetemi di aggiungere qualcosa.
Sono di Brindisi, e noi siamo salentini solo perchè parliamo, seppur con notevoli variazioni, quel dialetto, ma è mia opinione che culturalmente vi siano profonde diversità con il salento meridionale. Nella mia città non vi è memoria alcuna di riti “paraesorcistici”, di credenze di qualche tipo, neanche di gnomi e folletti che si aggirano per le campagne, c’era solo “l’umba” (vana umbra) che spaventava i bambini. Nonostante ciò, passando per caso davanti a qualche suggestivo angolo del centro, può capitare di imbattersi in qualche gruppo di “scienziati della cultura popolare” che, messo giù per terra un lenzuolo, vi fanno distendere una cinquantenne in pigiama bianco e la fanno dimenare mentre un qualche tristo suonatore l’assorda con un tamburello….francamente non so cosa aggiungere.
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Commenti su Come ci inventiamo una cultura: il caso della Notte della Taranta. Parte seconda. di Pino Spina
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