Ringrazio lo spigolatore Fabio per la cortese attenzione e per avermi consentito, grazie alle sue riflessioni, di pervenire ad una nuova proposta di soluzione del problema, plausibile, questa volta sul piano filologico, etimologico e, aggiungerei, culturale in genere.
Cedo subito la parola alla voce latina medioevale che, sempre secondo me, spiega tante cose. Nel lessico del Du Cange al lemma “ACULA” leggo: “ut ACUCIA” (traduzione per chi non conoscesse il latino ma fosse interessato a seguire la questione: come ACUCIA), e ad ACUCIA: “Herbae species, dicta quoque scandix “ (Specie di erba, detta anche scandix).
Ho avuto modo di parlare di quest’erba nel post “L’erba che ricorda le unghie del diavolo” del 25 gennaio ultimo scorso
http://spigolaturesalentine.wordpress.com/2011/01/25/lerba-che-ricorda-le-unghia-del-diavolo/
Basta guardare la foto per capire quanto oggi io rimpianga di non aver potuto sostituire nel titolo “le unghie del diavolo” con “l’acuceddha”.
Per concludere: dalla radice di ACUCIA (ACUC-) con l’aggiunta del normalissimo suffisso diminutivo -ELLA verrebbe fuori la nostra ACUCEDDHA. Credo che quest’ultima proposta etimologica risolva tutti i dubbi prima emersi: per citare i più appariscenti: un suffisso diminutivo latino -ucella non attestato e nel nostro caso proponibile solo per analogia e con conservazione della vocale u della voce primitiva acus; il genere femminile che ora si spiega come conservazione di quello della voce primitiva; la stranezza che il diminutivo indicherebbe, addirittura, un oggetto più piccolo di quello che il nome primitivo designa (stranezza che non appare più tale se si comparano le dimensioni del nostro strumento con quello delle foglie della pianta in questione); l’-sc- di “cusceddha”, come in “mùsciu” rispetto a “micio”). Insomma un’etimologia, per riallacciarmi al “culturale” dell’inizio, di origine contadina.
Approfitto dell’occasione per inserire qui la riflessione che segue e lo faccio per non dare soddisfazione a chi certamente non si cercherà negli interventi relativi a questo post. Come spiegare, caro Fabio, all’idiota (in senso etimologico…) imbrattatore di San Mauro l’amore per la ricerca dell’origine di una semplice parola (apparentemente quanto di più astratto si possa immaginare), quando la più alta realizzazione di se stesso per lui consiste nella deturpazione di una memoria concreta?