Ho riflettuto un po su questa tragedia e mi sento infastidito da giudizi sommari del tipo “l’uomo e la natura”, il “degrado del territorio”, “lo scempio edilizio” e cose così. A Genova non è successo nulla di tutto questo, però si continua a parlarne con la solita ignoranza dei fatti che poi porta davanti a un problema vasto ed enorme, che pure esiste, la cui risoluzione però non è economicamente sostenibile e per questo non si fa mai nulla. A Genova è successo solo un guaio “tecnico” in un ambito urbano fortemente infrastrutturato. A un certo punto della storia della città, consapevoli dei rischi, si è deciso di coprire la sede del rio Fereggiano e farci sopra una strada. Come a Milano si fece per i Navigli e al mio paese per un piccolo canale. E le cose sono sempre andate bene per la portata di questo torrente di acqua piovana non è mai cresciuta più di tanto nel tempo non essendosi allargata troppo la città nella sua direzione con tanta nuova superficie impermeabilizzata da strade, case e piazzali. Invece il più importante torrente Bisagno in cui il rio Fereggiano sversa ha il tragitto complicato dal sottopassagio artificiale che comincia con la stazione Brignole. In pratica il Bisagno ingrossa perchè ha la strada semisbarrata e il Fereggiano si trova a sua volta lo sbocco nel Bisarto già pieno d’acqua. La conseguenza è stata che il percorso sotterraneo del rio Ferragiono all’interno della città va in pressione fino a far uscire l’acqua dai tombini. I tombini che dovrebbero drenare l’acqua delle strade invece la rigurgitano. La storia del Bisagno è stranota, vecchia e ha già fatto 24 morti negli anni ’70. Questa lunga premessa per dire che la natura vi entra poco in questa storia: l’uomo le ha lanciato, consciamente una sfida e l’ha persa. Persa poi non per incapacità tecnica ma per la mancanza di economie pari alla sfidai. L’uomo è un animale urbanizzante per istinto. Costruisce, trasforma, organizza e questa è la sua caratteristica che lo distingue dal regno animale. Detta questa premessa che porta alla conclusione che l’uomo ha sempre sfidato la natura, sia quando edificava capanne a piano terra o sofisticati grattacieli di 30 piani, quello che manca è proprio la cultura del rischio. Il modello giapponese era famoso perchè prevedeva che fosse possibile trasformare e costruire di tutto ma poi ogni cittadino o autorità deve essere conscia del rischio e dei piani di emergenza. Non so quanti abitanti di via Fereggiano ricordassero o sapessero del torrente solo i loro piedi. Forse si è persa pure la memoria, forse nessuno lo ha mai saputo. Nel caso di Genova piuttosto che lanciare un generico allarme a tutta la città bisognava solo allertare le aree già riconosciute a rischio cioè la stazione Brignole e il percorso tombato del rio Fereggiano.
Per non lasciare dubbi sul mio discorso io credo che una città possa organizzarsi accettando dei rischi (esclusivamente materiali) in caso di eventi non frequenti ma tutelando in ogni caso la vita di ogni singolo cittadino. Vale a dire che si può accettare che le piogge eccezionali danneggino un negozio (il titolare però ne deve riconoscere il rischio e accettarne i danni) ma che mai e poi mai vadano ad allagare un piano interrato in cui dorme una coppia di anziani non autosufficienti o una mama con due bambini. Vale a dire esporre al rischio solo quello che può essere perso senza grossi riflessi. Questo però significa mappare e rendere noti i rischi, sia all’interno che all’esterno delle citttà perchè in ambito urbano le “colpe dell’abbandono del territorio” prorpio non ci stanno. Cosa c’entra tirare fuori le “case abusive” nel caso di Genova? A Genova c’era gente seduta sopra una bomba idraulica senza saperlo. E un comune che ha permesso di abitare le cantine.
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Commenti su Note a margine di una tragedia di Angelo Micello
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