Tenendo presente che il volume gastronomico uscì nel dicembre del 1969, si può stabilire che la pubblicazione di questo racconto risale esattamente a 42 anni or sono, periodo di tempo più che sufficiente ormai per svelare l’esatta identità di una delle tre donne protagoniste, alla quale – essendo ancora viva al momento della scrittura – la Giulietta, per evitarle qualche possibile sgridata da parte dei figli o parenti, preferì chiamarla Peppa e non Cuncetta qual’era il suo vero nome. Cuncetta, detta “la curfiòta”, ossia Concetta Rizzo (1882-1972), morta a 90 anni.
Che fosse l’unica anziana in paese a portare ancora “la lunga gonna arricciata” è vero, ed io ricordando le sue visite e associando la figura al nomignolo “curfiòta” (“di Corfù”) giustifico, anzi do la reale motivazione, a tanti suoi esasperati gesti da vero teatro greco, venendomi addirittura il dubbio che da giovane potesse essere stata una “chiangimuérti” (“prefica”).
Nessuno può immaginare la scena a cui io assistevo ogni qualvolta veniva a trovarci: appena finito di salire la scala, si stendeva a pancia in giù a terra tra pianerottolo e sala d’ingresso e, a braccia aperte, baciava il suolo mentre con la destra tracciava un segno di croce. Un’operazione a vietare la quale non c’erano mezzi di convincimento e che la Giulietta attribuiva ad arcaiche regole di sudditanza dovute a reminiscenze bibliche, cioè al gestuale rispetto, anzi riverenza, che i pastori ebraici mettevano in pratica quando, in prossimità della Pasqua, si recavano a Gerusalemme per adempiere, presso il Tempio di Salomone, all’annuale offerta di agnelli.
Gestualità affettiva, da parte della Concetta, che continuava per almeno cinque minuti dopo essersi messa in piedi: baci, abbracci, sbracciate e pianti a non finire intercalati da un continuo “Beddhra… bbeddhra mia…” E rivolta a me “… ca jò l’àggiu crisciùta… jò l’àggiu purtàta am brazze!…” Una scena teatrale, ripeto, sicuramente invidiata da una delle migliori attrici, anche perché da inquadrare nel contesto visivo del personaggio: gonna arricciatissima fino ai piedi, facciulittòne (scialle) in testa e volto da pagnottella che – senza un dente in bocca – era di una bellezza espressiva notevolissima, caratterizzato da una geografia di fitte rughe da sembrare uno speciale mappamondo.
E’ vero che la Concetta era stata presso la famiglia già da bambina, cresciuta dalla bisnonna, per cui l’affetto poteva essere verace; è vero che la Giulietta era amata da tutti, soprattutto dalle classi subalterne, nel senso che di lei si fidavano; pur tuttavia a me, che mi trovavo “nuovo” al cospetto di tali esagerate manifestazioni, dava l’idea di trovarmi – e non soltanto con la Concetta – in platea ad assistere a delle finzioni sceniche. E sto calcando su questo concetto per mettere in risalto quanto nella narrazione la Giulietta fu parca nello sbozzo dei personaggi, rivelando anche qui il suo carattere asciutto, di donna di pochissime parole.
Questa mia precisazione mi è sembrata doverosa sia nei confronti del lettore e di riflesso dell’autrice – che viene così riscattata dall’aver camuffato l’identità del personaggio -, sia nei confronti, appunto, di Concetta, quasi un renderle giustizia per essere stata disconosciuta – al cospetto dei suoi tre compagni di lavoro e della società del tempo – di un’esperienza esistenziale che l’ha sottratta alla realtà storica. Sì, perché nel bene e nel male – e nessuno di noi oggi è in grado di giudicare – il tutto è racchiuso in una realtà storico-antropologica dove la ricchezza e la miseria, il potere e la sudditanza, la nobiltà e il proletariato non sono da addebitare agli uomini per i contingenti ruoli rappresentati, ma alla legiferazione governativa che approvava o imponeva gli stessi ruoli. E’ un po’ come succede nelle dittature; un po’ come sta succedendo oggi con uno Stato che intende mettere a dieta i pensionati; ed è come potrebbe accadere se lo stesso Stato decidesse di togliere le pensioni facendo tornare alla povertà dei tempi rappresentati nel racconto. E se a quei tempi molti giovani contadini per vincere la fame occuparono le terre d’Arneo, parecchi dei quali facendosi ammazzare, cosa potrebbero fare oggi i vecchi pensionati? Occupare Roma facendosi ammazzare davanti al Palazzo del Governo?